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Dimissioni di massa dalle aziende, un grande abbaglio o una realtà?

Quanto sono confrontabili fenomeni simili in mercati del lavoro così diversi come quello italiano e statunitense.


Roberto Sibilia 16.11.2021 Articolo di Roberto Sibilia - Fondatore e Sr Consultant di ME-TODO®

Cosa raccontano i dati.

I dati delle comunicazioni obbligatorie del secondo  trimestre del 2021 mostrano un considerevole aumento delle dimissioni volontarie del dipendente. 

In precedenza, ossia nel primo trimestre del 2021, i dati erano in linea con gli anni precedenti. 

Una prima considerazione è che i dati di un solo trimestre sono una base d’informazioni un po’ troppo ristretta per fare ragionamenti o parallelismi con altre realtà.


Comunque quel che è certo è che stiamo assistendo ad un aumento sostenuto delle dimissioni volontarie. Esattamente come sta avvenendo nel mercato statunitense. 


Nel caso in cui il tasso di dimissioni dovesse confermarsi anche nei prossimi trimestri su livelli altri dovremmo iniziare a porci alcune domande:

  • quali sono i lavoratori che si dimettono;

  • sono colletti blu o bianchi;

  • dopo le dimissioni trovano subito un nuovo impiego;

  • se trovano nuovamente lavoro è nello stesso settore da cui provenivano.

Fenomeno straordinario o semplicemente disattenzione verso tendenze già in atto.

È mia opinione che la crisi indotta dalla pandemia potrebbe aver anticipato il fenomeno del ricollocamento della forza lavoro. Questo perché si sono venute a creare le condizioni che hanno spinto i lavoratori a migrare dai settori messi in difficoltà dalla crisi. 

Inoltre i dati attuali non ci dicono nulla sulle conseguenze del cambiamento: chi ha lasciato il precedente posto di lavoro ha fatto passi in avanti nella “scala” lavorativa oppure è retrocesso?

Il fenomeno registrato è però utile per riflettere a livello di politiche del lavoro e gestire i nuovi trend per garantire maggior benessere ai lavoratori e incrementare i livelli di produttività del nostro paese. Quindi per guardare finalmente al mercato del lavoro come elemento dinamico, come lo è negli Stati Uniti, e non statico come è quello italiano.


Allo stato attuale, e con i dati conosciuti, sicuramente le riforme e gli investimenti del PNRR hanno avuto un’incidenza fattuale pari a zero. Pertanto la possibilità che il fenomeno sia dovuto alla creazione continua di nuove imprese, che è l’unico fattore di crescita in grado di generare salari più alti e maggior produttività, dovremmo per logica escluderla.

 

Quindi potrebbe aver inciso il “normale” fenomeno di rigenerazione delle imprese, quello a cui assistiamo pre, durante e dopo ogni crisi del sistema economico con l’uscita delle imprese poco produttive, che vivacchiano e sopravvivono alla giornata, o la contrazione di quelle che operano in settori messi sotto pressione dalla crisi.

Quali conclusioni.

Siccome il sistema Italia deve ancora recuperare i ritardi rispetto al periodo pre pandemia, sia in termini di posti di lavoro, che ancora mancano, sia in termini qualitativi. Visto che la rete di sostegno e accompagnamento verso un altro lavoro è precaria, giova ricordare che i centri per l’impiego sono strutturati per occuparsi dei disoccupati ma molto meno per dare una risposta a una pronta rioccupazione, c’è da chiedersi se queste dimissioni volontarie non dipendano più da fattori pre pandemici.

La mia opinione è che con la ripresa economica, ma occorre sottolineare che al momento si tratta di un recupero dei valori pre crisi e non di una crescita dovuta allo sviluppo di nuove iniziative imprenditoriali, le persone ritengono che ci sia più spazio per la ricerca di un lavoro in grado di soddisfarle maggiormente. Sia in termini di flessibilità, sia con un salario più adeguato e, in particolare, quando in precedenza hanno dovuto accettare una occupazione sotto qualificata.

Quindi se queste legittime aspirazioni di miglioramento altro non sono che necessità già manifestatesi in precedenza, fatico a capire perché si siano scritti fiumi di parole per spiegare la ricerca di flessibilità, anziché di rimodulare il rapporto con il lavoro anche in funzione delle nuove tecnologie, bilanciandoli con le esigenze della propria vita.


Sono tutti temi già sul tavolo da diverso tempo e la criticità, soprattutto in questo paese, rimane quella di pensare in modo diverso al futuro delle strutture organizzative e alle condizioni strutturali in cui possa innestarsi lo sviluppo continuo di nuova imprenditorialità unico motore in grado di creare posti di lavoro. 


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